ANsomigaFORA LA ROMAGNA CHE NON TI ASPETTI

ANsomigaFORA LA ROMAGNA CHE NON TI ASPETTI
Venerdì 31 marzo, all'osteria Loco Squad di Milano Marittima, si è svolta la prima di tre serate dedicate ad ANsomigaFora, un progetto di scambio culturale tra produttori georgiani, di vino e anfore, e produttori emiliano-romagnoli. Una contaminazione originale che si concretizza nella vinificazione delle nostre varietà autoctone nei tradizionali kvevri (anfore georgiane). Il risultato, ancora prima di quello che nascondono i calici, è un espediente narrativo inedito e curioso per un territorio che a fatica comunica con l’esterno.
 
Protagonista esclusiva del primo dei tre incontri è stata l’Albana, la regina indiscussa della viticoltura romagnola a tinte “dorate”.
 
Romagna e Albana, un binomio indissolubile che lega un vitigno al proprio territorio.
Se si potesse fare un parallelismo fra un vino e il carattere delle persone che popolano il luogo in cui questo viene prodotto, probabilmente l’Albana rappresenterebbe la quintessenza della romagnolità: un vino solare e generoso, ma anche ostinato (per non dire testardo!) e tenace. Un vino che sa essere accogliente, ma anche esuberante e selvaggio, e tutto “semplicemente” in funzione del luogo e del modo in cui vengono domate le sue uve.
 
Non è un caso se l’Albana, primo vino bianco a ricevere nel 1987 il riconoscimento della Docg, sia contemplata all’interno dello stesso documento nella tipologia “secca”, “amabile”, “dolce”, “passito” e “passito riserva”.
 

Alla base di questa versatilità c’è la facilità con cui il grappolo dell’albana riesce ad accumulare naturalmente zuccheri preservando livelli di acidità notevoli, condizioni ideali per la realizzazione delle ammalianti versioni passite che per prime hanno svelato le potenzialità di questo vitigno.
 
E’ una varietà che non nasconde anche alcune criticità, tra cui la ricchezza tannica delle sue uve, anomala per una varietà a bacca bianca, e l’abbondanza di catechine, un polifenolo particolarmente suscettibile all’ossidazione, che impone una sensibilità fuori dal comune.
 
Anche dal punto di vista storico Albana e Romagna sembrano unite da un legame indissolubile. L’aneddotica al riguardo si confonde più volte tra leggenda e realtà, come nel caso, ormai arcinoto, dell’imperatrice Galla Placidia, figlia di Teodosio I, che attorno al 400 d.C., dopo essersi imbattuta in una coppa di questo vino, si narra che abbia esclamato: “non così umilmente ti si dovrebbe bere, bensì bisognerebbe berti in oro” (da qui il toponimo considerato la patria del vitigno, Bertinoro). Peccato che l’imperatrice sia vissuta quasi un millennio prima che fosse scritta la Divina Commedia che, come noto, segna l’inizio dell’utilizzo della lingua italiana, e pertanto è altamente improbabile che abbia potuto pronunciare quelle parole.
Riferimenti evidenti al vitigno albana invece si ritrovano a partire dal 1300, quando Pier de Crescenzi la cita nel suo Trattato di Agricoltura, decantandone le proprietà positive. Seguono diverse citazioni sia in trattati agricoli, sia in poesie e poemi.
 
Nella storia degli ultimi cinquant’anni l’albana è stata il simbolo enologico della Romagna, per poi vivere un periodo di progressivo appannamento e abbandono. Nella storia familiare contadina romagnola non esisteva casa dove non fossero coltivate viti di albana, in vigna oppure nei filari che segnavano i confini tra un campo e l’altro.
 
Il territorio in cui si produceva e si produce ancora oggi l’albana è quello che va da Castel San Pietro a Cesena, con esclusione del riminese. La diffusione di questo vitigno ha registrato il suo picco ad inizio degli anni Ottanta con quasi 9 mila ettari vitati, per poi decrescere in favore di altri vitigni fino ad arrivare ai 1500 ettari attuali.
 
Fortunatamente negli ultimi anni alcuni produttori hanno ricominciato a investire nella coltivazione di questo vitigno e a vinificarlo sempre più spesso nella tipologia “secco”. Modelli più qualitativi e attuali, che hanno consentito di ottenere vini sempre più precisi ed apprezzabili, lontani dallo stereotipo “bianco carta” in auge nel ventennio 1990/2010, contrassegnato da un eccesso di interventismo enologico.
 
Al tempo stesso sono nate tutta una serie di iniziative che stanno contribuendo a (ri)portare l’albana ai suoi antichi fasti, promuovendone le caratteristiche e la storia.
Uno dei progetti principali che la vede come protagonista nel nostro territorio è il gruppo di lavoro ANsomigaFORA, che ha posto l’accento prevalentemente sulla versione secca (ma non solo) e sul contatto con le bucce.
 
I primi risultati ottenuti sono decisamente incoraggianti e per alcuni versi addirittura sorprendenti. I vini ottenuti non rispondono ad alcun tipo di omologazione e vanno degustati con mentalità aperta e propositiva, sapendo che una produzione di questo tipo ha il diritto di prendersi anche qualche “licenza espressiva”, puntando maggiormente a far emergere il carattere più istintivo ed ancestrale del vitigno.
 
Quelle che seguono sono alcune veloci note sui vini che hanno caratterizzato il primo incontro del palinsesto organizzato da Mirko Turroni e Davide Sacchetti, titolari del Loco Squad, in collaborazione con Carlo Catani, co-fondatore del progetto ANsomigaFora.
 
La serata che chiuderà la serie di incontri è prevista il 25 maggio. Vi aspettiamo.
 
 
Terra 2015 Villa Papiano
Nasce a Modigliana, sui 500 metri sul livello del mare, da una scelta vendemmiale non certo attendista. Il suo linguaggio è tutto sulla fragranza e sul sale che Modigliana si porta nel calice. La componente macerativa è nascosta dietro a un quadro che parla di agrumi e fiori d’acacia. L'assaggio è verticale e salino.

Anforisma 2015 Ancarani
110% di bucce, come provocatoriamente gli artefici Claudio Ancarani e Rita Babini rimarcano con un sorriso. E il colore aranciato, da vero "orange wine", lo sottolinea subito nel calice. Il profilo olfattivo rivela una piena maturazione e il calore del millesimo di provenienza. Una nitida pesca bianca sciroppata e la mela cotta si alternano alle note macerative e a una lieve componente ossidativa. Al palato presenta un sorso saporito, con una tendenza ad allargarsi e a farsi via via più astringente.  
 
Campo Mamante 2015 Braschi
Color oro antico. Al naso si concede poco per volta, alternando una spiccata componente ossidativa a un quadro tipico e dal fruttato maturo. All’assaggio mostra una struttura che sovrappone una viva spinta sapida a una tannicità decisa. 

Vitalba 2016 Tremonti
Colore dorato e luminoso. Un vino dall'approccio diligente e complesso, in cui il vitigno sembra essere stato messo al servizio del vino. Note mature si alternano a note più fresche e fragranti. L’assaggio mostra una struttura precisa, domata, quasi mansueta.

Anforghettabol (Vino dolce) 2013 Cantina San Biagio Vecchio
Un vino che richiama all'ancestralità e all'esuberanza del vitigno. Naso dinamico e dettagliato, in cui la "buccia" apporta senza togliere. L'assaggio mostra un piccolo calo di tensione nel centro bocca e un finale piacevole tra sapidità e tannicità. Dolcezza che non sconfina mai nello stucchevole.