NO CODE: SPAGHETTI WESTERN di LUCIO FOSSATI

NO CODE: SPAGHETTI WESTERN di LUCIO FOSSATI
Clint Eastwood varca la soglia di un saloon del West immaginario e immaginifico di Sergio Leone, ve lo ricordate il clima che s’instaura?
Ebbene, chiunque avesse chiesto un bicchiere di vino in un bar qualsiasi delle nostre città fino a 20 anni fa, poteva respirare quell'aria.
Ancor più... avete presente le malcelate reazioni dell'oste, ostile ai sondaggi di Eastwood su un suo concittadino? 
 
Chiunque 20 anni fa poteva inebriarsi di quella folgore negativa chiedendo informazioni sul vino alla mescita.
Le ragioni potevano essere molteplici ma credo che la primazia spettasse al legame vivente tra vino e quotidianità delle pause lavoro.
Il fiasco di sfuso era il complemento alimentare di tutti i ceti e di tutte le età postadolescenziali.
 
Semmai le quantità variavano in funzione delle mansioni ma l'attenzione alla qualità era la stessa. La pulsione edonistica della bevuta era quasi esclusivamente risolta dai superalcolici. 
L'uomo qualunque ordinava "un viski", perché era un simbolo di emancipazione sociale che tanta cinematografia del dopoguerra aveva veicolato.
 
Quando ci coglie fastidio per una comunicazione del vino troppo orientata sulle eccellenze e su una prosopopea masochistica di molti gestori e produttori rassereniamoci ricordandoci il recente passato *metanolo incluso*.
 
Ma dico io... riappropriamoci della dimensione quotidiana e gastronomica del vino e al contempo riconosciamo questa ondata modaiola come uno dei fattori che hanno spostato nella massa l'attenzione verso la qualità. 
 
Lucio Fossati