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CHE LIBRO È, INTORNO AL VINO?
FF: "Qualcuno mi ha chiesto se si tratta di un libro nostalgico, e io ho risposto immediatamente di no. Assolutamente no. Non mi piace la nostalgia, non guardo mai indietro, non conservo nulla del passato: foto, immagini, bottiglie, nulla di nulla. Semmai è un libro che chiude due anni importanti della mia vita per aprirsi al futuro, a ciò che mi aspetta nelle prossime stagioni. Pensare al passato mi stanca, mi fa sentire spossato, senza più voglia di mangiare, di dormire, di lavorare. Invece devo tirarmi su le maniche e stringere i pugni. Devo lottare a prescindere. E per lottare io non conosco che una strada: lavorare sodo guardando avanti, non indietro. Questo mi ha insegnato la vita".
DI COSA SI PARLA, IN QUESTO LIBRO?
FF: "Ciò che più mi piace di questo lavoro sono le persone. Non i vini, le bottiglie, le viti, ma le persone. Le persone che incontro tutti i giorni mi regalano la voglia di vivere, di non mollare, di migliorarmi. Per questa ragione il mio libro è dedicato alle persone intorno al vino. Certo è dedicato soprattutto a una persona in particolare, che amo e amerò fino all'eternità (perché mi ha salvato la vita, cambiando il mio modo di vederla, la vita), ma in verità le parole di questo volume sono per tutti gli appassionati che adorano il liquido odoroso. Per tutti, nessuno escluso".
È UN SAGGIO?
FF: "È una raccolta di riflessioni, in parte già pubblicate su Winesurf negli ultimi due anni, che ho messo insieme con la decisiva complicità di Rachele Palmieri, un'editor bravissima, con cui sono stato felice di lavorare. È un libro personale, ma spero possa interessare i bevitori curiosi, che sanno emozionarsi per una storia, per un racconto, per un sapore peculiare, per un profumo inedito, per un viaggio unico, per un incontro felice. È anche un libro che prova mettere dentro tante parole: fatti, storie, fantasie. Ciò che conta è averne fame e tenersele strette, le parole. Le parole possono colorare la nostra vita, soprattutto nei periodi più difficili".
C'È UN MESSAGGIO CHE EMERGE?
FF: "Mi schiero decisamente in direzione degli artigiani, ma non in direzione del linguaggio cruento, del radicalismo giacobino. Non mi interessa insultare, mi interessa semmai approfondire le ragioni del mio cuore e del mio gusto. Provo a portare a galla la superiorità emozionale e la maggiore digeribilità dei veri vini di terroir, ma senza sfoggiare atteggiamenti distruttivi nei confronti di chi fa vini diversi. Non mi occupo di vini industriali, e dunque non ne parlo".
È ANCHE UN LIBRO DI DEGUSTAZIONE?
FF: "Credo proprio di sì. Dai testi raccolti nel libro emerge che il mio degustatore ideale non deve collezionare nozioni, ma emozioni. Deve essere indipendente, libero, inclusivo. Deve essere umile, curioso, sensibile, tenace, immaginativo. Deve coltivare l’attesa e riempirla di riflessioni. Un degustatore che mi auguro sia sempre più donna: ci sono ancora troppe poche donne che parlano e scrivono di vino."
PROGETTI FUTURI?
FF: "Voglio scrivere un libro sulle parole del vino, un libricino piccolo ma che ho nel cuore da tempo. E poi un libro sulla mia amata Valle del Bidente. E poi un libro sulla Champagne. Ma soprattutto vorrei continuare a essere un bravo papà: Ninni, Tommy e Bebo sono tutta la mia vita, senza di loro non ci sono io, senza di loro la luce si spegne."
PER INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI
fra.falcone2003@libero.it
INTORNO AL VINO, DIARIO DI UN DEGUSTATORE SENTIMENTALE di Francesco Falcone
(18 euro, spese di spedizione incluse)
Dopo Podere Palazzo, il nostro itinerario all'insegna dell'enoturismo cesenate prosegue con l'azienda Zavalloni Stefano, che da sei generazioni produce uve Sangiovese, Trebbiano e Albana secondo la tradizione contadina romagnola più autentica. L'azienda venne fondata nella seconda metà dell’800 e conta 11 ettari di vigneti, situati sulle dolci colline di Cesena, in località Madonna dell’Olivo.
E' possibile visitare l'azienda e i vigneti di produzione, contattando i proprietari, Fabio e il figlio Stefano Zavalloni, e prenotando il percorso guidato.
Al comprensorio vitivinicolo cesenate appartiene anche l'azienda Villa Venti, fondata nel 2002 e situata tra Roncofreddo e Longiano (FC). Si estende per 7 ettari coltivati a uve Sangiovese, Merlot, Cabernet Franc, Centesimino, in zone tra colline sinuose e il corso del fiume Rubicone, da sempre contraddistinte da un'antica vocazione viticola. L'azienda mette a disposizione dell'enoturista un percorso guidato in azienda, una sala per le degustazioni ed assaggi ed un agriturismo, per assaporare la genuina autenticità delle terre romagnole dalla terra alla tavola, con prodotti e coltivazioni biologiche per chi vuole vivere un'esperienza unica e riscoprire il legame con la Natura. Percorsi e laboratori a cielo aperto per appassionati del vino di tutte le età, vendemmia, raccolta di erbe spontanee e di frutta con cui cucinare e preparare marmellate artigianalmente, un laboratorio di pasta fresca: tante opportunità per vivere la Romagna più sincera.
Sulle prime colline fuori Cesena sorge l'azienda Montaia, di recente costruzione e dotata di modernissimi impianti di lavorazione. 25 ettari di vigneti, coltivati a Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Merlot, fanno da sfondo ad un'azienda di respiro internazionale, che ogni anno produce 150.000 bottiglie. L'azienda offre servizio di visita guidata e degustazione, per scoprire tutta la passione e l'attenzione che i proprietari mettono in ogni bottiglia di vino. E' possibile prenotare la propria visita contattando direttamente l'azienda.
È il nome locale del Nebbiolo, ma da qualche anno anche il frutto di una selezione clonale ben precisa.
Sono stati ricavati tre cloni: NC12, NC21 e NC34.
I loro elementi comuni sono dati dalla media vigoria, da un’ottima fertilità basale con germogliamento e fioritura anticipati.
Il grappolo è medio-piccolo, con buccia nero-violacea molto pruinosa; tollera bene la peronospora, meno bene oidio e botrite.
Dei tre cloni il C12 ha più colore e “fa il grado” più facilmente; il C21 ha assai più tannino ma anche più aromi; il C34 conserva meglio l’acidità ed è anch’esso molto ricco di polifenoli, motivo per il quale viene consigliato in “miscela” con gli altri due.
La Rossola è un vitigno autoctono della Valtellina, presente nel vigneto valtellinese nella misura del 5% circa.
Molto rustico e resistente al freddo, soffre invece la peronospora e l’oidio.
La sua caratteristica più importante è la tenuta dei valori di acidità nel tempo. Ne esiste ad oggi un solo clone, ovviamente sviluppato in zona. Ha grappolo medio-piccolo, acino sferoide rosso-violetto, che diventa blu-nero nella parte esposta al sole, fertilità elevata, buccia sottile mediamente pruinosa, poco dotata in polifenoli e pochissimo in antociani.
Vitigno autoctono di Valtellina ad elevata fertilità e gagliarda vigoria produttiva; le sue uve a maturazione presentano elevata gradazione zuccherina ed intensa sapidità.
Molto sensibile all’oidio, sensibile alla botrite, resistente alla peronospora.
Ha grappolo piccolo e leggero (160 grammi contro i 210 della Rossola), acino medio-piccolo, cilindrico, alato, serrato. Se vinificato in purezza, la Pignola Valtellinese dà un vino dal bel colore rubino vivo, poco tannico, molto sapido, di una certa finezza. Si presta ad essere vinificato in bianco rivelando note aromatiche delicate e piacevoli.
Antico autoctono valtellinese con ampio grappolo conico e senza ali con acino ellittico che richiama colore e forma di una piccola prugna, da cui il nome.
Il vino che se ne ricava è molto alto nei valori di acidità e molto colorato, ma non ha struttura tannica e assai raramente arriva a 12 gradi di alcol potenziale. Si tratta di una varietà a doppio uso (da vino e da tavola), le cui analisi sul DNA hanno confermato l’identità genetica con la Fortana, di cui è un biotipo locale.
È presente in molti vecchi impianti promiscui, soprattutto nella sottozona Grumello e quasi esclusivamente oltre i 500 metri di altitudine, al riparo dai ristagni di umidità che, a causa della sua buccia sottile come una pellicola, porterebbe rapidamente a marciume.
I vini DOCG prodotti in Valtellina, pur mantenendo la medesima base ampelografica, si dividono in:
Nel settembre 2017, nell’ambito dei “Tre giorni del Sangiovese” è stata proposta un’interessantissima degustazione sui vini della Valtellina guidata da Armando Castagno. In particolare è stata preso in esame il Valtellina Superiore DOCG nelle sue sottozone.
Prende il nome dal torrente che la attarversa. È la sottozona di più recente riconoscimento (2002) e la più piccola delle cinque, con i suoi 25 ha di vigneto circa e due proprietari, di cui una è la cantina sociale locale.
È localizzata nel comune di Berbenno ed è la sottozona più calda in assoluto, quella con il maggiore numero di ore di sole, e le maturazioni più precoci all’interno delle sottozone del Valtellina Superiore.
I vini sono poco aggressivi, tendono a giocare su toni più eleganti che potenti, con profumi complessi e di bella ampiezza.
Si tratta di una vera e propria rupe. Probabilmente si tratta della sottozona più celebre, estesa tra il comune di Castione Andevenno e il capoluogo Sondrio, per circa 144 ettari di cui 130 vitati. Ben soleggiata ma decisamente impervia, la Sassella presenta pendenze accentuatissime.
Zona di nebbiolo classici, equilibrati, minerali, sottili e di longevità eccezionale.
La proprietà è frazionata in una miriade di piccoli produttori, pochissimi dei quali imbottigliano in proprio mentre gli altri conferiscono alle molte cantine cooperative del circondario.
Altra sottozona di elevatissima qualità, ubicata appena a Nord Est della città di Sondrio, divisa fra il comune del capoluogo e quello di Montagna In Valtellina.
Ha una estensione vitata di 78 ettari circa, e prende nome dalle rovine del Castello di Grumello che la sovrasta.
Il Grumello è il luogo ideale per nebbiolo morbidi, delicati e floreali con note balsamiche di eucalipto, di mentuccia e di spezie dolci e liquirizia. Questa sottozona è importante anche per il mantenimento delle varietà storiche della Valtellina, come la Pignola, la Rossola e la ormai rara Brugnola.
Si tratta di uno sperone di piccoli terrazzamenti vitati ad altitudini variabili tra i 300 e i 450 metri slm. Si tratta di una sottozona calda e rocciosa, praticamente senza humus superficiale: i terrazzi sono stati ricavati nei secoli su anfratti di pietra nuda, attraverso un labirinto di scale, è suddivisa fra i tre comuni di Montagna In Valtellina, Poggiridenti e Tresivio.
L’estensione vitata è di circa 55 ettari su 68 potenziali. Il sole che batte a picco da sud e il forte riflesso che ne deriva sulla pietra, crea una situazione di grande difficoltà da stress idrico alle vigne in estate.
I vini sono generalmente caldi, profumati, speziati, minerali e di grande longevità.
Dal latino “Valliculae”, cioè piccole valli, sono quelle create dai torrentelli che scendono dalle Alpi per arrivare sin qui prima di gettarsi nell’Adda. La sottozona si estende tra i comuni di Chiuro e Teglio ed è la più vasta tra le cinque. Si tratta di un ampio promontorio di roccia esposto a pieno Sud su cui si arrampicano quasi 140 ettari di vigneti a terrazze. Vino di grande tradizione ma poco conosciuto in Italia in quanto storicamente destinato all’esportazione verso la Svizzera.
Il disciplinare di produzione distingue il Valtellina Superiore (che non deve raggiungere un grado alcolico minimo, ma che si trova in posizione superiore come giacitura delle vigne) e il Valtellina Superiore Riserva.
Le uve utilizzate devono essere per almeno il 90% nebbiolo.
Vengono anche identificati i vigneti, che devono essere su “terreni declivi e di natura rocciosa”, con densità d’impianto di 4.000 ceppi per ettaro, fermo restando quelli già impiantati.
La resa massima deve essere 80 quintali per ettaro (tenendo presente che qui le rese normali sono circa la metà).
L’affinamento deve essere di almeno 24 mesi di cui almeno 12 in botte di legno, se l’invecchiamento supera i 36 mesi, i vini possono riportare la dicitura Riserva in etichetta.
I vini ottenuti da uve provenienti da due o più delle cinque sottozone possono riportare la sola dizione Valtellina Superiore.
Infine una curiosità legata alla commercializzazione con la vicina Svizzera: i vini possono riportare la dizione Stagafässli se imbottigliati e commercializzati in Svizzera, cosa che esclude l’indicazione della sottozona e del termine riserva.
La degustazione dei vini proposti è stata per tanti partecipanti un’autentica sorpresa: prodotti sempre molto gradevoli, a volte più leggeri ed a volte con strutture importanti, ma sempre caratterizzati da una grande bevibilità e sapore, ideali soprattutto come compagni della tavola, idealmente accompagnati ad una cucina di territorio, ma sicuramente piacevoli anche con ricette di altra provenienza, oppure, perchè no, da sorseggiare lontano dai pasti.
A seguire le note di degustazione.
Una vigna ritagliata in un bosco di lecci, cipressi e castagni, pettinata da un refolo appenninico che ne preserva la vitalità della chioma. Il Chianti Classico ci scorta con le sue scenografie in un luogo di antichi borghi medievali dall’anima austera e misteriosa. Un luogo dall’aria contesa da volpi, lepri e poiane, che disegnano una selva selvaggia e aspra e forte / che nel pensier rinnova la paura (Dante Alighieri, Divina Commedia). Così si preserva il rituale millenario del fare vino nel Chianti Classico, attraverso quella varietà, il sangiovese, che qui ha tessuto la sua affinità elettiva.
Il sangiovese - Virgilio silenzioso - ci svela queste vigne strappate alla selva e lo fa con un passo prudente, schivo e sinuoso. Un passo che diventa più agile risalendo le vette e più grave discendendole. Eppure, pur mutando falcata e timbrica vocale, il sangiovese qui raccoglie l’eredità di quella selva che ne preserva un tono più teso e disinvolto di quello che avviene a latitudini inferiori.Un banchiere londinese, Max Skinner, inaridito dal denaro e da una vita trascorsa con il naso immerso nel cinismo degli affari, eredita la vigna provenzale del vecchio zio ormai dimenticato, Château La Siroque, un luogo sospeso nel tempo, immerso nella campagna romantica della Provenza, dove tutto profuma dell’accoglienza mediterranea dei vini che da quella terra nascono. È subito magia.
È questa la vicenda che anima la pellicola Un’ottima annata del regista Ridley Scott (2006): una storia semplice, non scontata, che nasce da un evento apparentemente insignificante capace di cambiare per sempre la vita del protagonista e di trasportarlo in un intenso viaggio alla scoperta di sé stesso e delle proprie radici, inestricabilmente – come scoprirà – legate al vino.
Nel film il vino viene investito di un ruolo quasi spirituale.
Il suo compito è quello di traghettare il protagonista, con la sua verace e genuina onestà, nelle tappe del percorso interiore che, riportando alla luce i ricordi, le emozioni e le sensazioni della sua infanzia, permetterà a Max di riappacificarsi con il suo passato, di ritrovare la sua vera natura e di riconoscersi nei valori che lo zio gli aveva insegnato, gli stessi che appartengono da secoli alla cultura del “far vino”: sincerità, passione, rispetto per la natura, per la terra e le stagioni.
Sintesi del film la frase con cui lo zio Henry spiega al piccolo Max cosa significa per lui fare il vino: “Io amo fare il vino perché questo nettare sublime è semplicemente incapace di mentire, vendemmiato presto o tardi non importa, il vino ti bisbiglierà in bocca sempre con completa e imperturbabile onestà ogni volta che ne berrai un sorso”.
Consigli per la visione…
Se amate la magia dei vini provenzali, vi suggerisco di sorseggiarne un calice mentre vi dedicate alla visione di questo film, lasciando che il sorso vi accarezzi il palato e vi bisbigli all’orecchio la sua storia. Ricordatevi, ogni tanto, di socchiudere gli occhi, per lasciarvi trasportare a Château La Siroque e passeggiare fra i filari della Provenza insieme a Max. Il vino che ci abbinerei? Un caldo Bandol.
Vi suggerisco di leggere il diario di bordo del viaggio in Provenza di Lucio Fossati, per gustare fino in fondo la magia di questa meravigliosa terra vitivinicola.
Qui si conclude questo breve e molto personale viaggio tra le pellicole cinematografiche che ho scelto per rappresentare la mia interpretazione del binomio cinema-vino.
Se pensate che abbia dimenticato un film più meritevole di questi nella mia lista, oppure, semplicemente, vi va di condividere altri titoli che, a vostro parere, raccontano il vino in modo degno di nota, vi prego di segnalarmele inviandomi una mail ad info@enocode.com: sarò felice di arricchire la mia “videoteca enologica”.
Cesare, l’autore di questa storia, oggi non c’è più, ma Le Calbane si, e con loro la madrina.
Maria Milandri, nel giorno del suo ottantunesimo compleanno, ci ha accolto con lo stesso sorriso con cui colorava, con i pattini a rotelle, le piazze di quell’Italia in bianco e nero compressa dalle due Guerre. Quando la testardaggine e i sogni erano più un lusso che un vezzo.
Una sera passata in compagnia di ricordi e ospitalità romagnola, accompagnati dalle testimonianze liquide di un vino che il tempo sta rischiando di estinguere.
La storia de Le Calbane nasce nel 1972, quando Cesare Raggi e Maria Milandri, avvolti in un gomitolo di passione, decidono di acquistare un piccolo podere a Ricò, a due passi da Meldola, nelle prima quinta collinare del forlivese. L’intenzione iniziale è quella di avere un nido dove rifugiarsi nel tempo libero, ma il fascino del paesaggio li convince a costruire qui quella che sarà la loro abitazione principale.
L’abitazione è corredata da una piccola vigna promiscua, che viene parzialmente rifatta e ampliata nello stesso anno del loro insediamento. La varietà scelta è il sangiovese. Siamo sui 200 metri di altitudine, l’esposizione è rivolta a est e i terreni sono di argille ocra.
Le prime vinificazioni regalano un vino tutt’altro che banale, ma soprattutto permettono di identificare nell’habitat di quel nuovo ettaro alcune piante con un profilo ampelografico e fenologico incompatibile con quello del sangiovese. Duemila piante di una varietà che rimane a lungo ignota, ma che dal 1975 Cesare Raggi sceglie di vinificare separatamente nelle vasche di cemento vetrificato che sono a dimora nella cantina dell’abitazione. E’ la nascita del Calbanesco.
Il vino ottiene sin dalle prime edizioni un riscontro positivo inaspettato, sia dalla critica, sia dalla ristorazione. Luigi Veronelli e Gianfranco Bolognesi, il patron de La Frasca, sostengono il progetto con grande entusiasmo e contribuiscono alla notorietà di quel rosso misterioso e di notevole personalità.
Nato quasi per caso, il Calbanesco - battezzato in quel modo in onore del luogo di provenienza – si insedia rapidamente nelle carte dei vini dei ristoranti più blasonati del Belpaese e sulle tavole istituzionali. Nel 1986 è il vino scelto per festeggiare la visita di Papa Giovanni Paolo II a Forlì.
Nonostante tutto la produzione resta sempre limitatissima, la vigna originale non viene mai ampliata e le bottiglie non superano le millecinquecento. Anche la burocrazia sembra volere arginare la diffusione di un vitigno di cui si sa così poco.
Quando nel 2012 l’esame del dna rivela che il vitigno da cui nasce il Calbanesco appartiene alla famiglia clonale del Montepulciano d’Abruzzo, Maria Milandri è già rimasta sola alla guida de Le Calbane e lo scorrere del tempo ha progressivamente affievolito la leggenda e la produzione di questo vino. Eppure il Calbanesco vive ancora. A prendersi cura delle piante superstiti, insieme a Maria Milandri, c’è da un paio di anni la giovane e talentosa Lisa Masini, a cui auguriamo di poter scrivere il seguito di questa romantica storia romagnola.
DI FILIPPO APOLLINARI E VITALIANO MARCHI
RECENSIONI DI VITALIANO MARCHI
Visto il contesto emotivo in cui si è svolta la degustazione abbiamo preferito tralasciare l'aspetto analitico (ovvero il punteggio) dei singoli assaggi. Tutti i vini hanno mostrato uno stato evolutivo sorprendente per l'età anagrafica e una grande capacità di resistere all'ossigeno. Se il peculiare carattere speziato (in particolare di liquirizia) si amplifica nelle annate più calde, la struttura è apparsa invece solida e polposa in tutte le versioni.
È il racconto di un viaggio sino alle origini di una passione: quella per il vino e per chi lo produce. Il vino non è un mero prodotto da trattare semplicemente sul piano commerciale. È una storia da amare, da ascoltare e da scoprire, assaggio dopo assaggio. Proprio per questo il requisito imprescindibile che la Carta dei Vini deve avere è quello di saper raccontare.
La sua virtù più grande è la capacità di narrare, in maniera originale e non omologata, la storia più suggestiva e affascinante del mondo, quella che unisce, in un unico spontaneo gesto, la tradizione, i territori, le viti, i produttori, l’emozione racchiusa in un calice: il gesto naturale di un ospite che sfoglia una pagina e sceglie il vino che lo accompagnerà nell’esperienza magica ed estetica del pasto.
Una storia ed un percorso di evoluzione e conoscenza attraverso la personalizzazione, frutto di scoperte quotidiane, combinazioni di colori e giochi di sensazioni: un fantastico viaggio chiamato “vino”.
Si è sapienti quando si beve bene:
chi non sa bere, non sa nulla.
Nicolas Boileau (1636-1711)
Non è estate senza un ghiacciolo, un po’ di sabbia che scotta e un oroscopo che ci ronza nelle orecchie.
Per i nostalgici come me, credo non sia estate senza le biglie di vetro e qualche gita fuori porta, meglio se contro corrente.
Così - a voler fare ‘di ogni segno zodiacale un fascio’ - c’è un luogo con una storia speciale che potrebbe piacere a tutti noi: dal capricorno ai pesci, dallo scorpione alla zebra a pois.
LA VIGNA
Si chiama La vigna, è una biblioteca vicentina che ha sede in un palazzo storico che prende il nome dal fondatore: Demetrio Zaccaria. È un luogo in cui puoi trovare 52.000 volumi e la maggior parte di questi parlano di vino, enologia e di scienze agrarie. Ma il catalogo è in espansione e comprende ad oggi anche molti testi di gastronomia.
E vuoi sapere com’è nato tutto questo? Un giorno Demetrio - un uomo dalle mille vite - entra in una libreria, siamo a New York negli anni ’60, si ferma a sfogliare il Dictionary of Wines di Frank Schoonmaker. Gli prende una sorta di folgorazione. Che dire…galeotta fu la tassonomia! Come un magico incastro a domino, da quel momento cominciarono una serie di incontri e casi fortuiti che lo portarono a formarsi una biblioteca propria, che poi donò alla città di Vicenza.
Leggiti la biografia del fondatore, è una delizia!
Questa biblioteca rientra nel circuito nazionale e internazionale delle biblioteche ed è quindi possibile richiedere un prestito interbibliotecario e ricevere il libro nella biblioteca a te più vicina.
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Sex & Drugs & Pinot Noir
Sì, hai letto bene: sesso, droga e Pinot Nero. È il NOBLE ROT magazine, nato a Londra nel 2013 e i fondatori li trovi nel wine bar omonimo. Si parla di vino, abbinamenti, storie, personaggi e luoghi legati al cibo e al vino.
La grafica e le illustrazione sono molto curate. È una rivista fresca, ideale per i foodlovers che non vogliono restare senza vino e non si concentrano sulla ricetta ma sulla storia e le persone.
Provatela…è ottima per questi segni:
Scorpione, Bilancia, Sagittario, Toro, Ariete, Vergine. Gemelli nei giorni dispari. Ecco, nel caso il tuo segno non sia tra questi, vedrai che con l’ascendente ci sistemiamo.
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LE NEZ
Ecco…qui siamo nel lato più snob, sfizioso e geniale che solo i francesi amanti e cultori del profumo, potevano inventare.
È una rivista semestrale che raccoglie insieme scienza, arte, design, esplorazioni sociologiche, profumi, tutte con un solo focus: le percezioni olfattive da ogni punto di vista. Se è dal naso che accendi il tuo processo sinestesico, questa rivista fa per te! È ideale per Pesci, Leone, Toro, Vergine, Bilancia, Ariete, Acquario. Capricorno solo per gli articoli di scienza. Pericoloso per il cancro, può creare dipendenza!
FONTI:
La Vigna | Biblioteca internazionale |
https://www.lavigna.it
e-mail: info@lavigna.it
Indirizzo
Biblioteca Internazionale “La Vigna”
Palazzo Brusarosco Zaccaria, contrà Porta Santa Croce, 3
36100 Vicenza - Italia
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Sex & Drugs & Pinot Noir
http://noblerot.co.uk/magazine
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Le nez
http://www.nez-larevue.fr
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Comprendiamo le preminenti ragioni economiche che sottendono il parere negativo della FIVI alla nuova normativa europea in tema di etichette alimentari.
Ci sarebbe piaciuta però una maggiore proposizione e non solo una semplice interdizione, giacché la direzione del legislatore ci sembra la stessa auspicata da tanti vignaioli.
In altri termini la ratio della legge, per quanto possa essere influenzata da gruppi di pressione legati a realtà più "industriali", è indirizzata ad assecondare le esigenze di maggior trasparenza.
Può essere un costo insostenibile fare un esame per ogni etichetta di cui l'artigiano produce solo poche migliaia di bottiglie, ma allora, perché non premere sul ministero competente affinché contribuisca per garantire il servizio al consumatore ?
Oppure perché non consorziarsi per avere un potere contrattuale diverso con le strutture preposte alle analisi?
Oppure ancora perché non proporre il metodo del controllo a random ad opera di autorità competenti prevedendo al contempo un sistema adeguato di sanzioni?
Noi consumatori non comprendiamo appieno i motivi per cui non si possa cogliere l'occasione per contribuire a regole che potrebbero mettere fuori gioco i furbetti siano essi piccoli o grandi.
L'iniziale investimento potrebbe infine avere un ritorno presso un bevitore in crescita:
quello piu' consapevole.
Le dissertazioni sull'opportunità di indicare le calorie distogliendoci dal desiderio di trasparenza del consumatore più maturo, ci ricordano tanto le discussioni attorno al tavolo del Subbuteo.
Il Subbuteo, già... ve lo ricordate?
Quando il battibecco si fa duro il romagnolo inizia a giocare e sguaina la sentenza tignosamente custodita nell'animo schivo.
Ma per quanto un altro italiano intenda "te lo dico io" come prolusivo ad una successiva affermazione o rafforzativo di una precedente esplicazione, il romagnolo lo utilizza per certificare la propria negazione o la propria contraddizione della tesi principale. Ogni qual volta un individuo ebbro di vino o di passione si scrolla la naturale ritrosia di queste terre e confessa una propria visione eccentrica o un sogno possibile, innesca nei vicini il piacere del contraddittorio.
Un contraddittorio che non mira ad una sintesi, non cerca solo una supremazia dialettica o una captatio benevolentiae sugli astanti come potrebbe accadere nelle discussioni da osteria in altre regioni.
IL DESIDERIO IRRESISTIBILE DEL ROMAGNOLO È ATTERRARE IL SOGNO.
La valenza eversiva ed emancipante del bagno di umiltà che un tempo investiva il rappresentante di un potere costituito od un semplice "patacca" nella quotidianità, acquista un effetto reazionario ed omologante e colpisce molto spesso idee e persone nuove.
LA DEFINIZIONE PER CONTRAPPOSIZIONE È SOSTANZA DELL'ESSERE ROMAGNOLO.
Fin dall'etimo Romandiola (piccola Romania) compare per la prima volta nei documenti del settimo secolo per indicare quella porzione di Gallia Cispadana non ancora soggetta a legge Longobarda, ma retta a diritto romano dall' esarcato bizantino di Ravenna.
Il termine "Romania" era stato usato un secolo prima per designare il territorio dell'Italia settentrionale e centrale non ancora conquistata dai barbari ed indicava una zona molto più vasta dell attuale Romagna. Il permanere del controllo romano ad opera dei funzionari papali ha conservato una gerarchia sociale imperniata sulla nobiltà ecclesiastica proprietaria di latifondo, mentre negli altri territori del nord e del centro Italia lo sviluppo della borghesia artigiana e commerciale ha dinamizzato le strutture di potere.
GIÀ DA ALLORA LA ROMAGNA ERA IL SUD DEL NORD.
E proprio come in altre regioni del Sud la peggior offesa è "te' tci bec", perché in una società profondamente maschilista la "colpa individuale " d'inettitudine virile assurge a fonte di allarme sociale per assenza di controllo sulla propria famiglia.
Un altro esempio della contraddizione romagnola: Rimini. Se chiedete all'estero della Romagna vi sentirete associare alla Romania o tutt'al più al circondario riminese.
Questo perché Rimini è stato un modello turistico su scala planetaria: sole sabbia e sesso a buon mercato. L'altra Romagna è scomparsa nel cono d'ombra, anche se per dirne una tra tante Ravenna è stata 3 volte capitale e ha 6 siti UNESCO con i suoi monumenti paleocristiani.
Io penso che due qualità fondamentali del carattere romagnolo, quali la capacità reattiva e la tigna, abbiano permesso di prosperare sulle macerie dell'ultima guerra e sulle terre riconquistate dalla bonifica, ma divengono un limite nella progettazione di un futuro condiviso.
Per spiegarmi azzarderei il paragone calcistico accostando gli argentini ai romagnoli.
Tra le altre qualità (come per i romagnoli) spiccano negli argentini tigna e capacità reattiva. Ciò si traduce in un gioco fondato sul controllo dell'avversario e sull'opportunismo nello sfruttare le debolezze altrui. Non c'è una volontà di affermare una propria visione del gioco ed arrivare alla vittoria tramite la sua affermazione. C'è una capacità di adattamento all'avversario ed alle condizioni per raggiungere il proprio scopo.
In economia questo atteggiamento mentale diviene una risorsa quando si esce da una situazione difficile, ma diventa un limite quando si deve costruire insieme il futuro. L'avere una propria verità (una per ogni romagnolo) sulla piadina, sui cappelletti, sui confini della Romagna o sulle sottozone di produzione del vino è una ricchezza ma è anche un limite nella possibilità di comunicarla.
L'avere disciplinari generosi permette all'universalità di rispettarli ma impedisce al consumatore di cogliere le caratteristiche identitarie. Il seguire le tendenze anziché anticiparle mette in comunicazione con un pubblico ancora largo ma certo in diminuzione e soprattutto infedele.
Il farsi condizionare dalle esigenze di estrema economicità dei consumatori e degli operatori locali permette una presenza importante nel territorio ma limita l'accesso a zone più ricche e diffidenti verso prodotti più economici.
FORSE LA ROMAGNA AVREBBE BISOGNO DI LIBERARE IL SOGNO ALTRUI MA FORSE ANCORA DI PIÙ AVREBBE BISOGNO DI SOGNARE COLLETTIVAMENTE.
Se invece vogliamo concederci un piglio sociologico e vogliamo chiederci: nell’immaginario collettivo giapponese, come è entrato il vino? È questo manga un modo per rendere il vino un tema popolare e al contempo di nicchia?
Mi sento di rispondere "sì" e avanzerei anche timidamente che ha spostato qualche numero nella vendita dei vini francesi sul mercato nipponico.
Ma procediamo per gradi e fumetti: un manga sul vino, in giapponese, tradotto ed editato poi in Francia. Sullo sfondo di una storia avvincente, abbiamo un vero e proprio divertissement di enologia in erba, con legenda per comprendere i termini, la descrizioni dei vini i sentori e i profumi. Una sorta di terroir vs terroir, con tanto di recensione e voto dei vini. E secondo alcune narrazioni anche un processo di iconizzazione.
Kami no shizuku è un progetto di una squadra creativa che si firma con uno pseudonimo: Tadashi AGI & SHU OKIMOTO. Dal 2004, pubblicato in più serie: al momento attuale se ne contano 3.I francesi lo traducono. L’editore è Glénat . Sono edizioni tascabili, le trovate in ogni FNAC in Francia o le potete acquistare on-line.
Il costo è circa di 9€ per ogni volume, nel quale troverete l’avventura legata ai vini descritti in appendice. "Le mariage de la fiction et de la réalité".
Così nella prefazione al primo volume definisce questo manga il professore Michel Dovaz, giornalista e collaboratore di numerose guide e riviste francesi.
Nel 2009 approda alla Tv giapponese.
Se la domanda è: ma la lettura è impegnativa?
Se amate il vino, se siete neofiti o conoscitori e volete divertivi, la risposta è no. La lettura è spassosa. La trama degna di una sceneggiatura che volentieri affiderei ai produttori di alcune serie Tv che passano su Netflix.
Piano americano, un letto, un uomo morente. L’uomo è il critico di vino più famoso del Giappone.
Il solito gioco: l’uomo ha un impero, ha una collezione di vini che provengono da tutto il mondo.
Guarda caso sono vini eccezionali, gli stessi vini blasonati di cui potremmo trovare traccia in una guida come “i 100 vini da bere una volta nella vita” e non solo. Sono tutti frutto della sua ricerca, delle sue scoperte. Gioielli di fine wines, che magari stanno bene anche nelle aste londinesi, in quei pomeriggi in cui l’ora del tea diventa noiosa. Oppure che sono in commercio e il produttore è un personaggio di cui vale la pena scoprirne i segreti.
Il critico morente si chiama YUKATA, ha un figlio: SHIZUKU. SHIZUKU non ama il padre, non l’ha mai frequentato. È un impiegato lui, ha una visione della vita pop, il vino non gli piace, non l’ha mai bevuto. Quando si dice…non farò mai ciò che fa mio padre, ecco, tipo così! La birra invece gli piace. È un venditore e degustatore di birra. Ma il suo gusto e il suo istinto e il suo alfabeto palatale non sono per niente male. Viene chiamato a palazzo, dal padre. Scopre che è appena morto. Si legge il testamento. Ci sono tutti i componenti della famiglia.
La tipica giornata in cui puoi scoprire - ad esempio- di avere un fratellastro ISSEI TOOMINE di cui ignoravi l’esistenza e che -guarda caso - è lì per l’eredità…quella che pensavi fosse la tua.
Con l’unica differenza che costui è un critico di vino - il delfino del padre - adottato da lui per seguirlo nella sua professione.
E qui capiamo perché il vino diviene come un’ossessione: per accedere all’eredità bisogna scoprire i 13 vini descritti nel testamento. 12 vini classificati come “gli Apostoli” mentre il tredicesimo” Gocce di Dio”.
IO TIFO PER IL FIGLIO CHE BEVE BIRRA E non ci capisce niente di vino... sarà per ignoranza o affinità!
Qui comincia la gara trai due.
Solito schema che regge le storie degli eroi e rende ogni trama avvincente: eroe - nemico - bottino (ricompensa) - aiutanti - prove da superare. Gli aiutanti sono descritti con dovizia di particolari: c’è questa ragazza - sommelier principiante MIYABI - e non solo - che aiuta il nostro protagonista nella risoluzione di questo rebus.
Così, nel tiepido di questa giornata di fine estate, mentre torniamo alla realtà di inizio autunno, mi sono anche chiesta:
Diabolik ed Eva Kant, che vini avrebbero bevuto? Quanto branding saremo riusciti a fare, facendo bere ai nostri eroi un vino piuttosto che un altro?
E se vi state facendo domande del tipo:
Questo manga ha aperto in qualche modo e foraggiato qualche produttore di vino…beh, non è causale direi che i francesi abbiano deciso ti tradurlo, no?
Se avete voglia di immergervi in questo caso:
YouTube alla voce Goutes de Dieu: https://youtu.be/qBpggBTZXDc
niente di nuovo: la disposizione delle materie è nuova BLAISE PASCAL
‘Ad esempio’ è il titolo di una tavola rotonda - a porte chiuse - tra amici-ricercatori nel campo della cultura.
Il gioco consiste proprio nel trovare esempi, format o modelli che siano replicabili e mutuabili in ambiti differenti e che portino a riflettere sul come avviene questa dinamica.
A turno ognuno si palesa con una questione aperta, con l’intento - a fine sessione - di avere ricostruito una sorta di mappa mentale.
Per i più audaci si paventa l’idea di espandere il proprio orizzonte, verso un confine più lontano da sé e più vicino all’altro.
Per altri… è una bella serata in compagnia di persone che vedi una volta all’anno.
Siamo qui a discutere sul valore aggiunto, su quella sottile differenza tra ciò che è immateriale eppure tangibile e ciò che è immaginario eppure ha un valore. Una sottile differenza che ci porta a fare vari esempi.
Ho in testa il progetto di Signficant Objects. Ve lo ricordate? Fu un caso importante nel mondo dello Storytelling. Nato con il chiaro intento di far lievitare il prezzo di vendita di 100 oggetti, facendo leva sul loro valore aggiunto.
Due scrittori americani - Rob Walker e Joshua Glenn - decidono di cimentarsi in un esperimento antropologico: scelgono 100 oggetti insignificanti, pagandoli per il loro valore intrinseco - parliamo di cianfrusaglia. A seguire improntano un’architettura narrativa per ogni oggetto in questione, con una storia tailor-made, redatta da vari autori.
Gli oggetti arrivano on-line, su ebay, con un’asta e un format di comunicazione che passa attraverso vari media. Per intenderci: la palla di pezza pagata 1 dollaro viene rivenduta a più di 50 dollari. La palla… è oscena , la storia geniale. Il valore aggiunto di 49 dollari erigeva la palla di pezza a icona e il valore immaginario aveva un valore paradigmatico in termine di narrazione.
Questo è facile come paradigma. Pensiamoci un attimo: tutti sappiamo - e ce lo diciamo pure - che oggi siamo noi stessi dei prodotti di consumo e la narrazione che abbiamo di noi, ciò che scegliamo è una parte di noi, la vita stessa che conduciamo - e spesso non vogliamo - è frustrante se non rispecchia coerentemente la nostra identità, se non costruisce quel valore immaginario e immateriale che ci colloca in un mosaico collettivo nel quale ci sentiamo riconosciuti.
E il vino? Il vino è uno degli esempi più gettonati alla tavola rotonda!
Uno di quei prodotti che genera un mercato culturale, a prescindere dal valore intrinseco del liquido contenuto nella bottiglia e si estende al di là degli esempi estremi dei top wines e dei vini concepiti come 'opere d’arte'. Il mercato del vino è un paradigma che disegna le linee culturali di un popolo, di un luogo e di un valore immateriale ma tangibile su scala economica, in quanto nel tempo è stato depositario di un capitale umano.
Un valore che altri settori della cultura osservano con attenzione in quanto ‘la creazione di un mercato culturale non è necessariamente portatore di un valore economico’ e quando questo non accade - ed è vero ancora in tanti ‘luoghi’ del vino - può forse significare che le nostre esperienze culturali non sono condivise da una collettività.
Il ‘bell’esempio’ serve solo se lo si segue, per dirci che è possibile e che riguarda anche parte della nostra storia.
Altrimenti l’orizzonte non sconfina...e la tavola finisce a tarallucci e vino.
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Fonti
Per il progetto di Significant Objects :
Per il valore dello storytelling:
Denning S., (trad.) Scoiattoli SpA: storie di noci e leadership, Etas, Milano, 2005.
Fabbri G., Societing. Il marketing nella società postmoderna, Egea, Milano, 2008.
Fontana A. Storyselling , Rizzoli Etas, 2010.
Un esempio di modello di distretto culturali in Italia, per un esempio sul capitale umano:
http://www.distretticulturali.it
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